martedì 17 novembre 2009

Se persino Travaglio difende il crocifisso

Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. [...] Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parolaambigua, accomodante, politichese, paracula. E’, da duemila anni, uno scandalo sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (”date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (”Padre perdona loro perché non sanno quello che che fanno”)“. Parole e musica proprio di Marco Travaglio, che oggi sul Fatto Quotidiano difende in prima pagina il crocifisso. In primo luogo da Berlusconi (”un massone puttaniere non può difenderlo”), la Gelmini, e i leghisti. E poi anche dalla sentenza dellaCorte Europea. Alla quale il giornalista regala una lezione di storia che levati: furono quei pagani dei nazisti a fare per primi la guerra al crocifisso, come ha ricordato Socci, ci informa Travaglio. E poi, dice la Ginzburg, ebrea e atea, che il crocifisso non genera nessuna discriminazione e tace, sempre secondo Marco.

I segni e i simboli, si sa, sono lì per essere interpretati. Inutile ricordare che, storicamente parlando (visto che il giornalista la butta lì), qualche dubbio sul come sia andata davvero (e se sia accaduta davvero) la storia duemila anni fa c’è. E non si capisce proprio perché uno come Travaglio debba dare per vera e valida a priori la versione degli interessati cristiani, mentre in altre occasioni giustamente dubita delle versioni degli interessati avvocati di Previti e Dell’Utri. E’ inutile anche ricordare che di esempi di umanità, sofferenza, speranza e laicità nella storia ce ne sono stati, sia precedenti a Cristo (Socrate, per dirne uno), che successivi, senza che qualcuno si sia mai sognato di metterli nell’arredo scolastico obbligatorio con provvedimento del ministero dell’istruzione e a carico di tutti i cittadini, cattolici, musulmani, buddhisti, induisti o atei che siano.

Meglio allora, grazie a Malvino, andarsi a leggere le parole del professor Michele Ainis. Che prima di tutto ricorda a Travaglio e a Socci che se fu una dittatura totalitaria a fare la guerra al crocifisso (il nazismo), fu un’altra dittatura totalitaria (il fascismo) a prendere la decisione di imporlo nelle scuole italiane (uno a uno, palla al centro). E poi spiega che di bipartizan quel simbolo ha ben poco.“Primo: il crocifisso è un simbolo religioso, non politico o sportivo. Secondo: questo simbolo identifica una precisa religione, una soltanto. Terzo: dunque la sua esposizione obbligatoria nelle scuole fa violenza a chi coltiva una diversa fede, o altrimenti a chi non ne ha nessuna. Quarto: la supremazia di una confessione religiosa sulle altre offende a propria volta la libertà di religione, nonché il principio di laicità delle istituzioni pubbliche che ne rappresenta il più immediato corollario. Significa che fin qui ci siamo messi sotto i tacchi una libertà fondamentale, quella conservata per l’appunto nell’art. 9 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo? Non sarebbe, purtroppo, il primo caso. Ma si può subito osservare che nessuna legge della Repubblica italiana impone il crocifisso nelle scuole. Né, d’altronde, nei tribunali, negli ospedali, nei seggi elettorali, nei vari uffici pubblici. Quest’obbligo si conserva viceversa in regolamenti e circolari risalenti agli Anni Venti, quando l’Italia vestiva la camicia nera. Fu introdotto insomma dal Regime, ed è sopravvissuto al crollo del Regime. Non è, neppure questo, un caso solitario: basta pensare ai reati di vilipendio, agli ordini professionali, alle molte scorie normative del fascismo che impreziosiscono tutt’oggi il nostro ordinamento. Ma quantomeno in relazione al crocifisso, la scelta normativa del Regime deve considerarsi in sintonia con la Costituzione all’epoca vigente. E infatti lo Statuto albertino, fin dal suo primo articolo, dichiarava che «la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato». Da qui figli e figliastri, come sempre succede quando lo Stato indossa una tonaca in luogo degli abiti civili. Ma adesso no, non è più questa la nostra divisa collettiva. L’art. 8 della Carta stabilisce l’eguale libertà delle confessioni religiose, e stabilisce dunque la laicità del nostro Stato. Curioso che debba ricordarcelo un giudice straniero. Domanda: ma l’art. 7 non cita a sua volta il Concordato? Certo, e infatti la Chiesa ha diritto a un’intesa normativa con lo Stato italiano, a differenza di altre religioni (come quella musulmana) che ancora ne risultano sprovviste. Però senza privilegi, neanche in nome del seguito maggioritario del cattolicesimo. D’altronde il principio di maggioranza vale in politica, non negli affari religiosi. E d’altronde la stessa Chiesa venne fondata da Cristo alla presenza di non più di 12 discepoli. Se una religione è forte, se ha fede nella sua capacità di suscitare fede, non ha bisogno di speciali protezioni“. Amen.

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