Nel pezzo "Giù i ricavi per i gestori elvetici" si accusano le banche elvetiche di applicare ai dossier cifrati della clientela "condizioni capestro": fino al 2% per la negoziazione di azioni estere e fondi comuni, fino allo 0,8% per le compravendite dei titoli di Stato e fino allo 0,4% di commissione di custodia. È davvero risibile che a fare la morale siano le banche italiane, che notoriamente addebitano alla clientela spese elevatissime e alcune delle quali, per depositare un piccolo assegno di 100 euro, chiedono una commissione del 6,5%. Altro che Svizzera cara...
Sullo stesse pagine, un altro astioso articolo attacca i professionisti svizzeri, soffermandosi sul giro di capitali gestiti dalle fiduciarie. Secondo Gian Gaetano Bellavia, presidente della commissione antiriciclaggio dell'Ordine dei commercialisti di Milano, "il problema della Svizzera non sono tanto le banche, che sono sottoposte a una legislazione severa e a una disciplina interna altrettanto rigorosa. L'autentico punto critico sono i fiduciari" e in particolare attacca non tanto le fiduciarie di per se stesse, ma le persone fisiche legittimate ad operare sin dal 1984, tra cui anche agli avvocati ai quali non è richiesta l'iscrizione all'ordine dei fiduciari, ma sono tuttavia sottoposti, in determinati casi, all'iscrizione obbligatoria presso un OAD (Organismo di autodisciplina svizzero).
I fiduciari sarebbero troppi, dunque tanta offerta di mercato sarebbe giustificata da un'elevata domanda... i servizi maggiormente richiesti sarebbero, secondo Bellavia, la creazione di società in giurisdizioni che garantiscano l'anonimato e dove sarebbe possibile fatturare servizi inesistenti verso società italiane, favorendo in questo modo il riciclaggio. Non solo, i fiduciari sarebbero pronti ad accogliere i clienti con richieste "particolari" con un "catalogo di società già registrate o da registrare in pochi minuti". Anche questa è una banalità, da decenni esistono società pronte all'uso nei cassetti di professionisti e notai ed è un espediente lecito, che fa risparmiare tempo e denaro.
Ma dove Bellavia diventa insultante è quando insiste anche sul fatto che i nomi dei principali truffatori italiani s'incrocerebbero con quelli dei ‘riciclatori' fiduciari svizzeri. Peccato che chi scrive ignori che le leggi, la mentalità, le professionalità sono molto diverse tra Italia e Svizzera, e per fortuna. Ancora una volta i media italiani asserviti a certe procure continuano a tener mano all'equivoco sulle accuse di ‘riciclaggio', un termine che ormai si usa anche quando mancasse una mela, mentre non scrivono mai che la Svizzera dispone di un dispositivo efficace contro la criminalità finanziaria e della forse migliore legislazione antiriciclaggio del mondo. È davvero patetica l'affermazione che "scorrendo i nominativi dell'albo - delle fiduciarie svizzere - ci si può imbattere in personaggi che sono stati, sono e saranno al centro dell'attenzione della magistratura inquirente". Ma il quotidiano milanese, invece che dispensare giudizi moraleggianti a vanvera, farebbe bene a curarsi delle sue grane domestiche. Come è da tutti noto, la testata è di proprietà di Confindustria il cui comando è stato affidato nel 2008 all'imprenditrice Emma Marcegaglia, dei Marcegaglia dell'acciaio ancora sotto inchiesta per una questione di tangenti, i cui capitali tanto non hanno disprezzato le banche svizzere per stare al sicuro.
Come riportato da "Repubblica" l'11 novembre 2008, tra il 1994 e il 2004 il Gruppo Marcegaglia era riuscito a interporre negli acquisti di materie prime e di macchinari alcune società off-shore, in modo da creare fondi neri da depositare su conti esteri. Il meccanismo era semplice: l'azienda non comprava direttamente l'acciaio, ma lo rilevava da alcune società di trading incaricate di versare i margini di guadagno su conti cifrati. La londinese Steel Trading operava sul conto Q5812712 presso l'Ubs di Lugano, per prendere poi il largo verso le Bahamas. Stessa storia per altri due conti intestati a E

Volendo, si può anche rendere omaggio a Cesare Geronzi, l'entrante presidente del colosso assicurativo italiano Generali che a Lugano controlla Bsi.
Geronzi, presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, risulta indagato per bancarotta fraudolenda nella vicenda relativa al crack Eurolat, mentre all'epoca era presidente della Banca di Roma. In quegli anni avrebbe esercitato pressioni su Calisto Tanzi, affinché acquistasse nel 1999 Eurolat a prezzo gonfiato, come citato da un articolo dello stesso "Sole 24 Ore" del 16 aprile, nel quale si dice che Geronzi sia stato sì prosciolto dal reato di estorsione, ma che tuttavia persista quello di bancarotta fraudolenta.
Tutti sanno ormai che, per demolire la piazza finanziaria, togliere clienti ai fiduciari ticinesi e devastare la prosperità elvetica, troppe procure e giornalisti hanno l'abitudine di accusare di ‘riciclaggio' tutti e tutto anche quando si trattasse di contrabbando o evasione dell'imposizione fiscale o, peggio, di vecchia ricettazione. Con l'ipotesi del riciclaggio che spesso si accompagna a teoremi fantapolitici che, come si vede ormai a ripetizione, vorrebbero favorire la carriera politica di qualche giudice pressappochista, gli inquirenti possono adire a strumenti d'indagine più forti. Ad esempio, le rogatorie internazionali e molto altro ancora, come arresti al confine, arresti domiciliari, commissariamenti che si traducono spesso in faide tra poteri dello stato, per voler e poter ficcare il naso nei caveau e nei computer e negli uffici svizzeri a caccia di nomi di politici da rovinare e di imprenditori da rapinare.
Tutto questo ha una chiara matrice politica di parte, è strumentale ed è ben lungi da quell'opera indispensabile e urgente di moralizzazione, etica e pulizia del mondo finanziario che deve operare un drastico cambiamento strutturale per rimediare alle devastanti catastrofi provocate da banchieri rapaci o finanche condannati, borsisti ladri e gestori inadeguati, di cui è zeppa la piazza finanziaria italiana.
Fonte > Ticinofinanza.ch e da EFFEDIEFFE
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