martedì 5 gennaio 2010

L'agenzia europea del farmaco è finanziata dalle stesse ditte produttrici su cui dovrebbe vigilare.



E' l'agenzia del farmaco dell'Unione Europea, l'analogo continentale della Food and Drug Administration. Il suo acronimo, Emea (European Medicines Agency), al cittadino medio non dice granchè. Ma è in quella sede che viene decisa l'autorizzazione alla vendita dei nuovi prodotti farmacologici in commercio nei Paesi dell'Ue. Inclusi i controversi vaccini contro l'influenza 'suina'. Il requisito fondante per un ente dalla funzione tanto delicata, dovrebbe dunque consistere nella totale indipendenza, anzitutto finanziaria, rispetto agli interessi delle case farmaceutiche. Invece basta dare una scorsa al bilancio 2009, per scoprire come l'80% dei circa 200 milioni di euro del budget annuale dell'Emea, sia finanziato proprio dalle ditte produttrici. E come, per giunta, la dotazione finale cresca in proporzione ai princìpi attivi autorizzati. Insomma l'ennesimo scandalo di un controllore sovvenzionato dai controllati. Solo che stavolta, a farne le spese, rischia di essere la salute di 400 milioni di ignari utenti europei, 60 dei quali italiani. L'Emea si autodefinisce un "corpo decentrato dell'Unione". La sua missione ufficiale è "proteggere la salute pubblica attraverso la valutazione e la supervisione dei medicinali per uso umano". In pratica è l'agenzia deputata dalla Commissione Ue a vagliare le domande per l'immissione sul mercato di nuovi preparati farmaceutici, soppesandone l'efficacia ed eventuali danni collaterali. In particolare dei farmaci hightech contro Aids, cancro, diabete, malattie neurodegenrative, sindromi auto immuni ed epidemie virali. Oltre che di ogni prodotto che prometta un avanzamento terapeutico, scientifico o tecnico (ormai quasi tutti). Un volta ottenuto il via libera, entro 60 giorni il farmaco finisce così sugli scaffali degli stati membri, più Islanda e Norvegia. Sempre all'Emea spetta la farmacovigilanza dopo l'immissione in commercio, ossia il compito di monitorare segnalazioni di reazioni avverse, imponendo ove necessario un ritiro del prodotto. Tramite apposite pubblicazioni, l'Agenzia gioca infine un ruolo centrale nel fissare parametri e linee guida per le imprese del settore, impegnate a superarne i test autorizzativi. E funge anche da arbitro per futuri appelli o controversie. I fondi per fare tutto questo provengono però solo in minima parte (20%) dalle casse comunitarie. Oltre il 77% del totale deriva infatti dal pagamento diretto all'Emea, da parte delle aziende proponenti, di una parcella sotto forma di tassa per il servizio di valutazione e autorizzazione del prodotto. Nonchè dai successivi esborsi per il rinnovo della licenza e la post-vigilanza. Più prodotti autorizzati equivalgono dunque a un aumento delle risorse interne dell'Agenzia. Alla faccia del ruolo terzo e indipendente. Tradotto in soldoni, sui 188.6 milioni di euro di entrate del budget 2009, 138.9 sono frutto della voce "fees"(pagamenti, onorari), e soltanto 36.5 dello "European Community contribution". E la forbice negli anni si è parecchio allargata. Nel 2002 i fondi privati ammontavano al 63% contro un 33% pubblico. Ancora nel 2005 corrispondevano a 71 milioni di euro contro 33. Per la cronaca, nel bilancio complessivo della Food and Drug Administrazion americana (Fda) -che ha 9000 addetti contro i 530 Emea- la parcella versata dalle compagnie non supera il 10-15% del totale. Eppure tale quota, benchè marginale, è al centro di feroci polemiche dal momento dell'introduzione nel'92. Dal 2001 a oggi il budget Emea si è triplicato, l'organico è più che raddoppiato. Il preventivo delle entrate per il 2010 (211 milioni) già calcola 23 milioni di euro in più. Tuttavia anche quest'anno solo un terzo del bilancio (66.4 milioni) è stato destinato alla "valutazione dei prodotti medicinali". Mentre 64.3 milioni sono finiti in salari, missioni e servizi allo staff. E altri 44 li ha assorbiti la voce "edifici ed equipaggiamento": in primis il lussuoso compound del quartier generale londinese presso Canary Wharf, collegato all'aeroporto da una speciale monorotaia. Di valutare i farmaci per uso umano si occupa uno specifico comitato interno denominato Chmp (Committee for medicinal products for human use). Come anche della farmacovigilanza, e di "assistenza alle compagnie nella ricerca e sviluppo di nuove medicine". Un Management board è invece responsabile in materia di budget. I componenti dei due organismi vengono scelti su base discrezionale dai 27 stati nazionali o dalle istituzioni Ue, piuttosto che tra esperti in campo scientifico/farmaceutico o rappresentanti della società civile. Ma associazioni terze quali Health action international, Società dei bollettini d'informazione sui farmaci (Isdb), Forum europeo per la medicina o Medwatcher, giudicano fallimentare la politica dell'Emea in tema di trasparenza e prevenzione dei conflitti d'interesse. In particolare, lo sbandierato obbligo di dichiarare annualmente eventuali rapporti con 'Big Pharma', da parte dei membri dello Chmp e del Board, si basa su un'autodichiarazione. Senza controlli indipendenti o sanzioni. Una specie di parola d'onore, firmata su un semplice modulo. In cui proprio Emea suggerisce, "data la probabilità di alti livelli di contatto con l'industria", di "enfatizzare solo conflitti relativi a specifici prodotti o situazioni". Non stupisce che poi, come denunciato da Medwatcher, nei panel Emea abbiano potuto sedere esponenti di gruppi sponsorizzati dalle più note multinazionali, tipo Alzheimer Europe (finanziata da Glaxo, Novartis e Pfizer). Oppure, tra i consulenti, esperti legati a singole ditte (vedi la Roche nell'istruttoria sull'anticancro Erlotinib). D'altronde l'Emea già in partenza non fa riferimento al Direttorato Sanità e Consumatori dell'Unione, come sarebbe lecito attendersi, bensì a quello dell'Industria. Al contrario della Fda, che dipende dal Dipartimento Usa di Salute pubblica. Sempre a differenza della Fda, complice la deadline di 210 giorni per l'emissione di un verdetto, Emea non avrebbe la possibilità di condurre vere controanalisi. Limitandosi giocoforza a vagliare la documentazione e i trial clinici forniti dal proponente il farmaco. Il quale, per tutelarne il brevetto, ingiunge all'Agenzia di secretare i relativi dossier, mentre aldilà dell'Atlantico sono di pubblico dominio. Con un simile iter, non esattamente tranquillizzante, sono stati autorizzati qualche settimana fa anche i vaccini per l'influenza H1N1, sulla cui necessità le opinioni scientifiche divergono. Anzi, la procedura è stata velocizzata (mock up). Agevolando la commercializzazione in tempi record di decine di milioni di dosi di tre prodotti diversi da quelli autorizzati in America. Compreso il Pandemrix della Glaxo, contenente un adiuvante ancora sperimentale, lo squalene. Se vogliono, all'Emea sanno essere molto solleciti. Tranne quando si tratta di rispondere alle mail di un giornalista: nel qual caso (il nostro) l'iter non parte affatto.
Tratto da : www.laltrogiornale.com

1 commento:

  1. Questo articolo apre una formidabile luce sul buio di queste autorizzazioni europee, così facili ad ottenersi quando il business è appannaggio delle multinazionali.
    E' davvero illuminante, almeno per me, ignoravo l'esistenza di Emea. Ottimo articolo,e devo complimentarmi anche con questo blog scoperto per caso qualche giorno fa: interessantissimo e miniera preziosa di informazioni

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